raffaele solaini
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La lista delle candidature presentata dal Partito Democratico non fa certo molto per celare la sua intrinseca disomogeneità. La esibisce, anzi, e se ne fa vanto, proponendo nella stessa circoscrizione Emma Bonino e il teodem Luigi Bobba; il presidente di Federmeccanica Massimo Calearo e il sindacalista Cgil Paolo Nerozzi. Diversità tanto stridenti, quanto intenzionali. Un modo di riaffermare la voglia di sparigliare, di abbattere steccati e costruire una nuova unione. Si tratta anche di una mossa strategica: mentre dichiara di voler correre in libera solitudine, il Pd cerca di ampliare il proprio bacino elettorale. Fallita la coalizione guidata da Prodi, il Pd propone una nuova alleanza, non più fra i partiti, ma nella società. Ricompone al proprio interno ciò che a livello istituzionale si è diviso.

Si tratta di un paradosso e di una scommessa, immediatamente criticata, sia da sinistra che da destra. In nome di una ricostruzione identitaria tanto facile quanto statica, un Bertinotti più di lotta che di governo rispolvera opposizioni sociali insuperabili. Dal canto suo, Berlusconi ha liquidato le candidature del Pd dal profilo più marcatamente riformista, considerandole niente più di una foglia di fico; un giochetto illusionista che mente circa l’essenza perennemente conservatrice del Pd. Un bikini che nasconde, piuttosto che mostrare.

Sebbene la natura del Partito Democratico non sia quella da lui strumentalmente tratteggiata, Berlusconi ha qualche buona ragioni nel sostenere la natura illusoria dell’operazione di Veltroni. Le candidature del Pd non sono un bikini, ma una coperta tirata da tutte le parti, un telo spiegato sulla società intera, con l’intento di riprodurne le forme. Rivelano un’idea discutibile di cosa sia la rappresentanza politica, intesa come campionamento statistico, piuttosto che come proposta politica coerente. Mostrano, più in generale, una concezione errata di cosa voglia dire rappresentare, che non significa fotografare, ma fare una sintesi. Una fotografia, certo, può apparire realistica, ma si tratta di un’illusione, così come è illusorio pensare che i lavoratori sottoposti a condizioni di rischio saranno meglio rappresentati dalla presenza in parlamento dell’unico supersite del rogo della Thyssen.

So bene che in campagna elettorale si cerca di stare sulle generali, ma si tratta ora di convincere l’elettorato che il drappello di nuovi parlamentari non sono un calco della società, ma una squadra con un’anima, coesa intorno a pochi punti programmatici espressi senza ambiguità di sorta. In fondo, non si tratta altro che di dare corpo al proposito di risollevare la politica. Un calco, inevitabilmente, aderisce a ciò che raffigura. Un gruppo dirigente, invece, rappresenta la società e la guida.

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(Affaritaliani.it, 04-03-2008)